Mondi separati. Mondi isolati. Mondi ostili. Appaiono così i paesi, le città, i gruppi etnici, le tribù con i quali, per necessità, si deve interagire ma dei quali non si conoscono lingua e tradizioni. E’ una condizione da disperati quella di dover vivere in un paese straniero di cui si ignora lo strumento della comunicazione, cioè la lingua. Ecco l’ammonimento: guai a coloro i quali non sono riusciti a imparare una lingua straniera nella propria vita. Tutto sarà loro più difficile non una ma cento volte di più. Andare all'estero in un paese in cui non si parla la lingua del posto significa essere condannati alla totale separatezza, alla differenziazione, alla generale ghettizzazione, al completo isolamento, all’emarginazione. E' una condizione deprimente, portatrice di stati d’animo avvilenti quella che vive colui il quale non conosce le lingue ed è costretto a vivere, per bisogno, in nazioni in cui la lingua è un’estranea, costituisce un baratro di divisione, di incomunicabilità, di marginalità. Zero in socializzazione e difficile interazione con gli altri, anche nei rari momenti di acquisto di un dentifricio in un supermercato o di un biglietto dell’autobus, è la norma per chi ignora le lingue. Chi non conosce le lingue straniere è costretto a ripiegare su se stesso, a non apparire, a rinunciare alla propria identità e a non essere se stesso, in una semplice doppia parola è costretto a «non vivere».
Riuscire a comunicare con gli altri, a chi non conosce una lingua, è pertanto l’equivalente di un sogno, di un miraggio intenso quanto l’intera vita vissuta fino a quel momento, del desiderio più grande della vita. Conversare con gli indigeni di un paese straniero, diverso dal nostro, apparentemente impenetrabile non è “una” conquista ma è “la” conquista, straordinaria in tutti i sensi per chi vive la condizione dell’immigrato o anche del semplice turista. Girare per le strade di una città situata a una diversa latitudine dalla propria è sempre stato affascinante da tutte le persone curiose che amano scoprire differenze e confrontare stili di vita disuguali. Ma al tempo stesso è una tortura e una violenza se non si conoscono i segni, i simboli, i caratteri della lingua del posto. Anche la semplice operazione di lettura del menù di un ristorante diventa un rebus, una crittografica e chiusa lettura gastronomica, una indecifrabile e sconclusionata messe di segni senza significato o, peggio, falsi amici che ti invogliano a chiedere fiaschi per ottenere spesso fastidiosissimi e inservibili fischi. I giornali locali vengono sistematicamente evitati per l’incomprensibile frasario presente in essi. La televisione viene vista solo per le immagini e le musiche, quasi mai per comprendere il senso dei messaggi e delle informazioni ivi presenti. La radio sembra una fastidiosa voce gracchiante senza valore. I mezzi di trasporto vengono presi con circospezione, per il pericolo di un imprevisto e improvviso annuncio all’altoparlante di cui non se ne capisce il significato. Il mondo si rimpicciolisce, diventa incomprensibile, indecifrabile, impenetrabile. E non si vede l’ora di rientrare. Dio è stato veramente cattivo con l’uomo, non per avere tolto ad Adamo ed Eva il Paradiso, ma semplicemente perché per punire il suo peccato di presunzione gli inflisse il castigo peggiore, inimmaginabile, introducendo le lingue e trasformando ciò che prima era comprensibile in una babele di oscurità e di isolamento. Per quanto ingrato l’uomo, probabilmente, non meritava tanto tormento.
sabato 1 marzo 2008
Il turista senza comunicazione.
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